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counseling

Giudicare: anche oltre la morte.

Ci sono persone, purtroppo per loro, in cui il vizio velenoso del giudizio non viene meno nemmeno di fronte alla morte, che, invece, come tale restituisce a tutti l’innocenza, qualsiasi cosa possano aver fatto in vita.

Provo compassione per chi é talmente presuntuoso da non riuscire a smettere di giudicare nemmeno di fronte alla morte, perché il giudizio è un veleno potentissimo per l’anima di chi lo pratica.

L’uomo di oggi ormai fatica sempre di più a capirlo, ma il non giudizio, il perdono, sono gesti che si deve meritare chi li pratica, non, invece, chi ne é destinatario, che rispetto ad essi rimane molto meno interessato.

Chi si infarcisce di giudizio in questo modo, finirà per usare lo stesso metro di valutazione anche quando, poi, si volterà indietro per considerare se stesso, finendo ulteriormente per vedersi sempre e costantemente inadeguato.

Il giudizio è come un paio di occhiali che inforchi: una volta che te li sei messi, vedi tutta la realtà attraverso di essi.

Ecco perché una delle prime mosse strategiche che suggerisco alle persone che seguo nella mia pratica di counseling, per aumentare la cosiddetta autostima, é proprio quella di cercare di smettere di giudicare, sostituendo al giudizio il suo contrario, cioè la compassione.

Chi non riesce ad essere compassionevole rispetto ad un uomo che é già morto si trova ad uno stadio evolutivo particolarmente basso e si trova ad avere molto più lavoro da fare a riguardo.

Purtroppo, spesso queste persone possiedono importanti disfunzioni a livello di consapevolezza, finendo per percepirsi persino eticamente superiori agli altri per il fatto di avere un giudizio che si estende «oltre la morte» e per il fatto di «non dimenticare», facendo un vanto delle proprie magagne e rendendo così l’inizio del lavoro su di sé ancora più difficile. Questo purtroppo é inevitabile quando ci si trova ad un basso livello evolutivo, dove tutto e più confuso e un vero discernimento é difficile.

Ascolta sempre il tuo cuore.

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counseling

La fede è decidere di ricambiare.

A dicembre, nel periodo dell’Avvento, chi, come me, ha fede inizia a sentirla battere piano nel cuore, come un pulcino tra le mani.

In questi magici momenti di raccoglimento, dove l’oscurità diventa ogni giorno sempre di più, il mondo reale e quello dei sogni appaiono sempre meno distinguibili e hai la sensazione che tutto quello che hai sempre desiderato sia lì, finalmente a portata di mano.

Tutto é fermo, caldo, raccolto e ogni affanno appare vano e indegno di attenzione, una sensazione descritta molto bene dai fumatori di oppio: hai la soluzione in tasca per ogni cosa, solo non c’è bisogno di applicarla adesso, lo farai domani…

Legge di attrazione é il nome di plastica dato alla fede nella modernità, la scoperta che avere gli stessi sentimenti che avresti se una cosa l’avessi già raggiunta ti rende molto più facile
raggiungerla.

Ma che cos’è la fede: ipocrisia, stato di percezione alterato o semplice fiducia in Qualcosa o Qualcuno di più grande, che sta alla base di come si muove questa vita e con cui si può entrare sempre più in risonanza in modo da covibrare e diventare co-creatori della realtà?

Ognuno deve deciderlo per conto suo.

Di certo la fede non è un dono, come vorrebbe una modernità che ne é aliena, per costituirsi una comoda scusante per non coltivarla: essa é, piuttosto, un talento.

La fede è una delle tante relazioni in crisi oggigiorno, in una umanità che é brava ed efficiente sul lavoro, ma non sa più ascoltare, investire, darsi senza pensare ad essere contraccambiata, ed è quindi una schiappa nella vita personale, avendo investito e puntato tutto su quella professionale, perché «il lavoro prima di tutto».

La fede è una storia d’amore, la più importante della tua vita, forse l’unica in cui non si parla a sproposito della «persona giusta».

Se esisti, se vivi, se stai leggendo queste parole proprio in questo momento é perché sei stato, sei e sarai ancora amato.

Per quanto tu possa essere cattivo, limitato, roso dai peccati che hai commesso e che ti mangiano dentro, mentre magari corri a scrivere sui social di essere orgoglioso e «andare a testa alta», c’è Qualcuno che, nonostante ti scruti ogni angolo del cuore, ti ama ugualmente.

Nessuno vuole essere amato perché é bravo, bello, compassionevole, in gamba o per altre qualità.

Ognuno di noi vorrebbe essere amato solo perché é.

Solo perché esiste, solo per essere qui.

Ma se esisti é perché sei già amato.

Quell’amore non richiederà mai di essere ricambiato, puoi farlo tu, se lo scegli: lo devi scegliere tu. La libertà é completa perché se non ricambierai continuerai comunque ad essere amato.

La fede é decidere di ricambiare e scoprire che, così, tutto si moltiplica all’infinito, rendendoti potentissimo.

Buon Natale a tutti.

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ritagli

Il capo é solo quello che ti dice come devi sbagliare.

Il capo non è la persona migliore o quello più furbo, ma semplicemente colui che determina, in un certo agglomerato sociale, il modo in cui si deve sbagliare.

Vale per tutto: Stati, enti, uffici, famiglie.

Accettare la leadership, o la guida di una determinata persona, non richiede, dunque, una convinzione di infallibilità assoluta della stessa, o il rinvenimento di chissà quali speciali qualità in capo alla medesima.

Significa semplicemente accettare che nella situazione determinatasi dalle circostanze il ruolo di guida é finito in mano a quella persona.

É evidente che la maggior parte dei «capi» sono dei c@@gli@n1, ma é ozioso farne la relativa considerazione, perché non serve a niente.

Ognuno di noi è fallibile, portatore di un punto di vista alternativo rispetto a quello del capo che però non è mai una soluzione a tutto tondo, che risolve ogni cosa e per sempre, ma un modello
organizzativo, coi suoi pro e coi suoi contro, quindi alla fine niente di più di un metodo alternativo di sbagliare.

La storia dell’uomo é composta da rivoluzioni fatte, a caro prezzo, da classi sociali che, per affermare solo loro stesse e il loro peculiare modo di sbagliare, si sono falsamente dichiarate portatrici di soluzioni che avrebbero fatto finalmente star bene tutti. A
rivoluzione finita, hanno cambiato solo il modo di sbagliare. Lo stesso Stato fa sempre le stesse cose che faceva secoli fa, ne ha cambiato solo la motivazione: tempo addietro se avevi un fondo dovevi un pagamento annuale al re perché il fondo era suo, adesso lo paghi come imposta prevista dalla Costituzione, ma fai sempre lo stesso, identico gesto – l’unica differenza è che oggi probabilmente paghi in proporzione almeno cento volte di più.

Tutto questo vale anche nelle famiglie e nelle coppie dove le donne riconoscono la leadership dell’uomo non perché più intelligente, più evoluto e più capace – ci sono molte coppie in cui la situazione é esattamente l’opposto – ma perché le circostanze, la biologia e l’antropologia (almeno a maggioranza) indicano che sia lui a decidere come si sbaglia in quella coppia – e poi così é più immediato e semplice dargli la colpa quando prima o poi succede una razzata!

La donna empowered voluta dal femminismo non è una donna che si è finalmente liberata da un giogo oppressivo, ma una che ha rinunciato ad una posizione di vantaggio per prendersi delle agre responsabilità che sostanzialmente non desiderava. Ma poteva venire qualcosa di buono da un movimento che insegnava alle donne contemporaneamente che gli uomini sono cattivi e che le donne tuttavia devono essere come loro?

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cinema

15 cose sul film Tapirulan.

1) Il dialogo chiave del film é:

– «Ma perché ci dobbiamo difendere da chi amiamo?»

– «Perché é solo chi amiamo che può farci del male»

2) Finalmente un film che parla del counseling, così forse le persone smetteranno di chiedermi sempre che cos’è 😂, anche se ciò che viene mostrato nel film non è vero counseling per diversi aspetti.

3) La counselor usa troppo spesso la parola «devi» con i suoi «clienti», fornisce consigli anziché limitarsi a fare domande, non fa le domande che sarebbero funzionali per i clienti, che a me invece durante la visione venivano in mente a dozzine, le sessioni sono troppo brevi e superficiali – naturalmente al cinema non si poteva fare diversamente, é un adattamento.

4) Quello che invece è piuttosto genuino é il «parco disturbi» di cui soffrono i vari clienti che si susseguono, che é più o meno quello che affronta settimanalmente un vero counselor.

5) Genuina é anche la ferita che, sin dalle prime battute, si vede essere presente anche nella counselor stessa e i gravi problemi relazionali della medesima; parlo spesso di questo: sono le nostre ferite, se abbiamo saputo integrarle, che ci rendono in grado di aiutare gli altri, non tanto i diplomi e gli studi.

6) Sul valore fondamentale delle ferite per poter aiutare gli altri, vai a leggere la storia di Chirone sul blog www.storiemairaccontate.it e, con l’occasione, iscriviti al blog per ricevere una nuova, fondamentale storia alla settimana, al venerdì pomeriggio.

7) La counselor protagonista del film, che vive perennemente camminando o correndo come un criceto su una ruota di fronte ad un pannello di vetro gigante, che sembra un gigantesco cellulare, tramite cui cerca di aiutare sia gli altri che se stessa é una grande metafora dell’uomo contemporaneo, delle sue nevrosi e delle sue miserie, soprattutto relazionali.

8) La pellicola sin dall’inizio trasmette una sensazione
claustrofobica, di angustia, di costrizione in ambienti chiusi, nei quali il mondo reale filtra solo mediante il monitor posto davanti al tapis roulant dove corre la protagonista o dalle finestre della casa, sempre come un qualcosa di lontano e poco raggiungibile, anche quando distante solo poche decine di metri.

9) La counselor protagonista offre la sensazione di una persona che conduce una vita insolita, che però oggigiorno é condivisa da tanti, non si capisce bene per quale motivo, e che tenta in qualche modo di restare a galla o respirare in un mondo per lei difficile, pertanto suscita fin dai primi minuti più un sentimento di compassione che di ammirazione, nonostante un commento sonoro che sembrerebbe voler essere celebrativo e che finisce per rendere ancora più stridente il contrasto.

10) Nel film sono tutti nevrotici, persino il «supervisore» della counselor che, mentre parla, stringe con la mano una pallina antistress, non vengono mai mostrati personaggi significativi in pace con loro stessi, centrati, sereni: tutti sono ansiosi, apparentemente come condizione perenne.

11) Si parla spesso di empatia, una qualità essenziale di ogni counselor, ma sul concetto si gioca anche, ricordando a riguardo un po’ il lavoro dello scrittore Philip K. Dick (sì, quello di Blade Runner) e mostrando limiti evidenti che i counselor non hanno nella realtà: la protagonista si fa aiutare da un sistema di «emotive tracking» a capire lo stato emotivo dei suoi «clienti» – una macchina le deve dire come stanno le persone con cui parla a monitor, insomma…

12) Dove il film delude é, come troppo spesso accade col cinema italiano, che sembra mutuare i difetti dagli sceneggiati tivù più scadenti, nell’aver infilato diversi luoghi comuni, come quello del marito cattivo che devasta di botte la moglie credulona (in 25 anni di attività come divorzista non ho mai visto un caso del genere, viceversa ho assistito a migliaia di gravi cattiverie da parte delle donne) e come quello del gay che viene malmenato (il cinema italiano é letteralmente passato dal portiere d’albergo gay dei cinepanettoni all’omosessuale menato perché è tale: c’è la coerenza di rimanere sempre e comunque lontani dal reale).

13) La delusione più grande é comunque il finale dove il tema del perdono, che é un aspetto fondamentale e centrale di ogni pratica di counseling, viene trattato con sciatteria, superficialità e quasi evitato, quando invece si sarebbe potuto davvero far meglio.

14) Tapirulan è un film dove tutti i personaggi positivi sono femminili, oppure maschi omosessuali, mentre quelli maschili etero sono tutti negativi: uno ha investito e ucciso un ragazzo e non si è fermato, un altro ha omesso di andare a prendere la figlia che così é salita sul motorino di un’amica andandosi a sfracellare, un altro ancora picchia la moglie, il padre della protagonista violenta la figlia.

15) Il pregiudizio verso i maschi é tanto fitto da tagliarsi col coltello. Il mio counseling per gli autori di Tapirulan sarebbe rivolgere loro queste domande:

  • come mai oggigiorno i maschi sono sempre cattivi, violenti, degenerati e le femmine poco meno delle sante?

  • c’è stato nella tua vita un maschio importante per te: un padre, un nonno, un fratello, uno zio, un insegnante che ti ha aiutato e dato una mano?

  • qual é il valore dell’arte e della commedia nella formazione dell’immaginario collettivo e nel benessere spirituale delle persone?

  • é importante secondo te che le persone stiano attente a quel che si mettono in testa, oltre che a quello che si mettono in bocca?

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