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Adolescente che taccheggia con i soldi in tasca: che fare?

DOMANDA – Sono una mamma profondamente delusa dal comportamento di mia figlia adolescente, di anni 13 … con la paghetta in tasca, è stata pizzicata a rubare due trucchi del valore di 7 euro in un grande magazzino … la moda tra le ragazzine che si atteggiano a grandi è questa, qui a Parma … ora, io non so come gestire questa situazione, ho attivato un piano di punizioni esemplari, ma vedo che a distanza di tre giorni mia figlia la prende alla leggera, non capisce la gravità delle sue azioni … Come e cosa posso fare per aiutarla?

— RISPOSTA – La ragione sceglie, ma è sempre l’emozione che decide…

Come hai già giustamente intuito, il comportamento di tua figlia non ha senso dal punto di vista logico razionale, dal momento che i beni che ha sottratto avrebbe potuto pagarli benissimo con i soldi che aveva peraltro già in tasca e che non aveva nemmeno bisogno di chiederti. Oltre a ciò, si tratta di cose sostanzialmente poco rilevanti, non di beni il cui acquisto si potrebbe desiderare di voler tenere nascosto, per cui davvero una spiegazione razionale non c’è.

Sempre come hai intuito tu stessa, è un comportamento molto probabilmente legato all’adolescenza, una fase difficile in cui non si può più essere bambini ma per molto tempo e per molti aspetti non si riesce ancora ad essere adulti, non solo per i motivi più evidenti, ma anche per una questione di identità: non si sa ancora che tipo di adulto si vuole essere.

Dal tuo racconto emerge poi un altro elemento che a mio giudizio è, anch’esso, azzeccato e cioè l’influenza del gruppo, una cosa che, nel momento in cui l’hai messa a fuoco, ti ha fatto provare un certo fastidio, perché il gruppo delle amicizie e delle relazioni si pone, ed è questo un connotato tipico della fase dell’adolescenza, in modo antagonista rispetto alla famiglia.

Quando il figlio è ancora completamente bambino, prima dell’adolescenza, infatti, il riferimento è tendenzialmente solo la famiglia – anche se c’è da dire che la famiglia stessa, spesso, non è così univoca come si tenderebbe a pensare. Successivamente, il riferimento diventa giocoforza quello dei coetanei e questo in sé e fisiologico perché è evidente che nella fase della maturazione le relazioni più significative, ferma restando l’importanza della famiglia, sono destinate ad essere quelle di amicizia o sentimentali che la persona si costruisce man mano fuori dal nucleo originario.

Ma qual è l’emozione che ha determinato tua figlia a compiere questo gesto?

Non è facile saperlo.

Nella mia esperienza come avvocato, ricordo ad esempio il caso di Sara, una minorenne magrebina, una bellissima ragazza tra l’altro, che aveva rubato un maglione in una grande catena di abbigliamento non perché la famiglia non disponesse di risorse economiche per acquistarlo regolarmente, ma come gesto di ribellione contro il padre che insisteva per imporle le regole rigide e tradizionali del costume islamico in un paese come l’Italia tuttavia settato su costumi radicalmente diversi, con conseguente disagio della ragazza e profonda difficoltà di relazione con i suoi coetanei. In quel caso, non fu difficile capire cosa l’aveva motivata: anziché parlare del suo gesto e delle sue possibili conseguenze, non faceva altro che parlare del padre e di come lei non sentisse che lui potesse mai comprendere le sue difficoltà a vivere da «islamica» in un occidente secolarizzato. Quando hai dei genitori troppo rigidi, che magari diventano isterici quando la tua gonna è troppo corta di due centimetri in meno, che cosa fai? Procuri uno scandalo a vedere se, con un male «maggiore», la piantano di essere così fiscali con te.

Questo è solo un esempio, nel caso di tua figlia le motivazioni possono essere diverse.

Non ho niente in contrario, in linea di principio, rispetto al piano di punizioni che hai progettato, ma credo che prima di passare allo stesso l’opportunità potrebbe essere quella di ascoltare in maniera autentica tua figlia.

L’ascolto è alla base di ogni relazione, tanto che, come dico sempre nelle mie sedute di counseling, quando l’ascolto manca, non c’è nemmeno la relazione, non c’è la connessione.

Purtroppo l’ascolto è difficile, perché… Per mille motivi.

C’è un film molto bello di Ettore Scola, con una scena meravigliosa, interpretato, pensa, da Marcello Mastroianni, che fa il padre, e Massimo Troisi, che fa il figlio. Ad un certo punto il padre, che era andato a trovare il figlio che mi pare stesse svolgendo il servizio militare, se la prende col figlio e gli dice una cosa tipo (vado a memoria e i dialoghi potrebbero non essere esatti) «Ma insomma, parliamo un po’, io e te, non parliamo, non parli con me, vedo che con gli altri sei espansivo, parli con tutti, sei aperto»; a questa battuta, il figlio, interpretato da Troisi (grande genio) risponde con una battuta memorabile delle sue «Ma con gli altri è facile parlare, è con il padre che è difficile».

Questo è molto vero ed è uno dei primi motivi per cui l’ascolto tra genitori e figli è più difficile. Sembra un paradosso, poter parlare e farsi ascoltare meglio dagli estranei che dai e coi propri genitori, ma credo che quella battuta colga una verità.

Come non ricordare anche la celebre battuta di Blanche DuBois nel dramma di Tennessee Williams «Un tram chiamato desiderio»: «Ho sempre confidato nella cortesia degli sconosciuti». Nel suo caso esprimeva in modo sottile ma acutissimo il disagio che Blanche viveva in casa, in famiglia, famiglia che non è sempre e non per tutti è il luogo del riparo, del rifugio, ma è volta, tutto al contrario, la sede del disagio e della sofferenza. Ma vale anche in generale per tutti: è più facile parlare con chi non rappresenta niente per noi che con le persone con cui siamo in relazione.

Un altro motivo per cui l’ascolto è difficile è che a volte, come in questo caso, si tratta di soffermarsi su circostanze spiacevoli. Tutti vorremmo parlare o sentirci raccontare cose positive, a volte tuttavia tocca far compagnia agli altri che sono in relazione con noi in circostanze, o anche solo stati d’animo, negativi.

Del resto, gli amici che sono disposti a farci compagnia solo quando siamo felici, in bolla, ottimisti, allegri non valgono poi così tanto come amici…

Poi l’ascolto è difficile perché noi esseri umani abbiamo la tendenza al giudizio, cioè la tendenza ad esprimere valutazioni sull’identità della persona che ci sta raccontato i fatti o le emozioni della sua vita. Il giudizio, l’ho detto mille volte e lo ripeterò ancora tantissime altre, è un veleno che intossica per primo chi lo pratica.

Quindi, se vuoi stare bene e se vuoi essere in grado di prestare un ascolto autentico, la cosa su cui puoi lavorare è quella di liberarti il più possibile dal giudizio.

Anche quando un genitore si è liberato il più possibile dal giudizio, un figlio ha sempre paura, quando parla con un genitore, di essere o sentirsi giudicato. I genitori, purtroppo, a volte vengono visti come conservatori, produttori di punizioni, non invece come persone la connessione con le quali può essere salvifica rispetto alla risoluzione dei nostri problemi.

Questo è un grande peccato, perché non sono le soluzioni materiali a darci pace, ma solo le connessioni.

«È sorprendente il modo in cui i problemi che sembravano insolubili diventano risolvibili quando qualcuno ti ascolta» (Carl Rogers).

«Una cosa che facciamo a volte di fronte a conversazioni difficili, è cercare di migliorare le cose. Cercare di porle in una buona luce. Ma se io condivido qualcosa di molto duro con te preferirei che mi dicessi “non so nemmeno cosa dire in questo momento ma sono felice che tu me ne abbia parlato”. Perché la verità è che raramente una risposta può migliorare le cose. Quello che migliora le cose è la connessione»(Brené Brown).

Sai che il counseling è sempre fatto di domande e la domanda con cui ti lascio è questa:

Sei capace di stare accanto a tua figlia anche adesso che è «diventata una ladra» e di conseguenza ne ha ancora più bisogno di prima?

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Se vuoi iniziare un percorso di counseling che ti potrebbe aiutare molto in questa situazione, chiama ora lo studio al numero 059 761926 e prenota il tuo primo appuntamento, concordando giorno ed ora della prima seduta con la mia assistente.

Naturalmente, se vivi e lavori lontano dalla sede dello studio – che è, a Vignola, provincia di Modena, in Emilia – ogni appuntamento potrà tranquillamente avvenire tramite uno dei sistemi di videoconferenza disponibili, o persino tramite telefono, se lo preferisci; ormai più della metà dei miei appuntamenti quotidiani sono videocall.

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Ti lascio adesso alcuni consigli e indicazioni finali che, a prescindere dal problema di oggi, ti possono sempre essere utili.

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Ipocrisia e verità: quali sono i valori davvero in ballo a riguardo?

DOMANDA – l’ipocrisia: ieri, oggi e domani. Le sue sfaccettature in base allo status sociale. Com’è percepita uomo/donna. E, rispetto al ns territorio.


RISPOSTA – L’ipocrisia oggigiorno è un tema difficile perché in linea di principio tutti sono ossessivamente focalizzati sul dichiarare di detestarla e di esserne privi, mentre in realtà la praticano pressoché in ogni momento della loro vita.

Probabilmente, va annoverata nel catalogo delle nostre «ombre», lati generalmente considerati negativi della personalità umana di cui in realtà abbiamo bisogno, come l’aggressività, l’odio, l’indifferenza e così via.

Quello che c’è da dire in generale riguardo alle nostre ombre è che esse fanno parte di noi «per design» e non c’è niente di più sbagliato di pensare di eliminarle del tutto: il lavoro di crescita ed evoluzione deve essere diretto esclusivamente ad avere quelle consapevolezze che servono per usarle solo quando servono e non in altri contesti. Ad esempio, è inutile diventare aggressivi con un amico, mentre lo può essere con un nemico, mentre ad esempio si sta combattendo una battaglia.

Il tema dell’ipocrisia è presente in letteratura in abbondanza, tutte le commedie di Oscar Wilde giocano sul prendere in giro l’ipocrisia britannica della società di quel tempo. Una commedia che sicuramente potresti andarti a rivedere, o rivedere una delle trasposizioni cinematografiche realizzate in seguito, è «L’importanza di chiamarsi Ernesto», titolo mal tradotto dall’originale inglese che è «The importance of being Earnest», che, appunto nell’originale, gioca sull’ambivalenza del termine «earnest», che è sia un nome proprio di persona che un aggettivo che significa appunto «onesto», cioè privo di ipocrisia.

Molto più recentemente c’è un film da vedere assolutamente, «Il primo dei bugiardi», commedia ambientata in un mondo irreale dove la menzogna è sconosciuta e il protagonista, quasi per caso, ne scopre il potere, che, in quel mondo, è del tutto particolare, dal momento che, non essendoci nessuno abituato a mentire, tutti lo prendono sul serio anche quando dice le cose più improbabile, come quando ferma una completa sconosciuta per la strada e la convince a fare l’amore con lui dicendole che se non lo farà l’intero mondo finirà… Ci sono scene molto esilaranti, come quella in cui sempre il nostro protagonista va a prendere una donna per una serata a cena fuori, è un po’ in anticipo, si scusa e lei risponde con nonchalance «Oh niente, mi stavo solo masturbando». Una commedia da vedere, perché fa riflettere molto sul tema.

Oggigiorno la presunta assenza di ipocrisia è spesso una scusa o un pretesto per comportarsi da maleducati.

Una volta mi è capitato di scrivere che «Io dico sempre quello che penso» è il verso di un narcisista che fa outing, cioè rivela se stesso, perché mette se stesso e la sua presunta superiorità etica e morale sopra a tutti gli altri che, se anche poi si offendono, non ha alcuna importanza: l’unica cosa importante è che «lui» (o lei) abbia «detto la verità».

È evidente che «dire sempre quello che si pensa» non è certo un obiettivo raccomandabile, essendo molto più opportuno, sia oggigiorno che in tutte le epoche dell’uomo, comprese quelle future, il suo esatto opposto, cioè pensare a quello che si dice.

Sempre restando in «letteratura», ti lascio con un clip veloce estratto dalla meravigliosa serie del Dr. House, che, se ricordi, aveva come pay off proprio la frase «tutti mentono». Puoi visualizzarlo qui, nel canale YouTube di «terre dell’anima» al quale ti invito ad iscriverti per ricevere le notifiche di tutti i nuovi video.


🔴 Scrivimi ora con whatsapp al numero 059 761926 oppure chiama lo stesso numero per prenotare la tua seduta di counseling e innescare la tua crescita personale e il tuo benessere. Puoi farlo comodamente anche a distanza tramite videochiamata.

Nel frattempo:

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L’uomo di oggi e il dolore.

In tempo di neopaganesimo, in cui le grandi tradizioni sapienziali della storia dell’umanità, compreso il nostro cattolicesimo romano e, più in generale, il cristianesimo, sono state buttate via, l’uomo contemporaneo resta privo di adeguata spiegazione del dolore e, di conseguenza, di qualsiasi strumento per affrontarlo.

Gettato cognitivamente in un pozzo buio e profondo, in cui viene tenuto prigioniero da qualche vago e impreciso scampolo di logica meccanicistica, l’uomo di oggi diventa completamente naïve e non é più in grado di adottare decisioni adeguate, di dare direzione alla propria vita, in relazione al male che la stessa pur necessariamente é destinata a contenere.

La vita è dura e contiene la sofferenza: è la prima delle quattro grandi nobili verità del buddismo. Da oltre venti secoli, inoltre, grandi pensatori cattolici e non si pongono il tradizionale dubbio “si Deus est, unde malus” – rileggiti, per andare ancora più indietro, il difficile, ma bellissimo libro di Giobbe.

Compito delle tradizioni sapienziali é da sempre appunto fornire all’uomo gli strumenti per affrontare il dolore che, giocoforza, fa parte della vita, ma l’uomo di oggi, sceso del tutto dalle spalle dei giganti del passato, non lo sa.

Egli ha costituito la scienza meccanicistica in divinità. Trascurando il fatto che si tratta solo di un metodo e non certamente di una dottrina del tutto, ne ha fatto un vero e proprio idolo, e questo idolo esige sacrifici di sangue, come tutti i falsi dei.

Come sembra suggerire Chesterton, dunque, l’ateismo é una auto amputazione, che lascia l’uomo privo di un occhio in più per vedere, di una gamba per camminare, tanto più assurda in quanto priva di qualsiasi ragione, come il gesto di chi, in miseria, butta denaro dalla finestra, usa vestiti nuovi come stracci o formatta l’hard disk contenente le informazioni che gli servono per il suo lavoro.

All’uomo di oggi é stato insegnato a non credere in Dio, ma a credere, piuttosto ai medici e alla scienza, così non c’è da stupirsi se di fronte alla perdita di una figlia, peraltro non ancora nata, cosa che purtroppo può succedere, egli rimanga senza altre soluzioni che quella di prendersela col primario, il nuovo dio in cui la modernità gli ha insegnato a credere, finendo solo per produrre ancora più violenza, sia a un proprio fratello che a se stesso.

In tutto questo, ci sono anche menti freschissime convinte che “ci stiamo evolvendo” quando siamo sempre più fragili, immaturi, bambini e incapaci di un minimo sindacale di strategia di coping per avere a che fare con le cose che fanno normalmente parte della vita, come migliaia di pensatori venuti prima di noi, oggi snobbati, hanno insegnato.

Forse è il caso di cercare di risalire sulle spalle di quei giganti, che abbiamo buttato via troppo presto.

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